Oggi la mastoplastica additiva, insieme alla rinoplastica, è l’intervento più richiesto anche da noi in Italia, arrivando a raggiungere quasi il 40% di tutti gli interventi di chirurgia estetica. E’ un intervento che dà immensa soddisfazione, sia al chirurgo che alla paziente, si dona quel pizzico di femminilità in più, si aumenta l’autostima.
Ma è fondamentale che la paziente sia ben informata , che si tratta di un intervento chirurgico, e non di una seduta dall’estetista e che verranno impiantate, nel corpo, delle
protesi che rimarranno a vita. Tutti gli interventi chirurgici hanno complicanze, spesso anche prevedibili e risolvibili senza
reintervento, ma ogni donna che sta per affrontare un intervento di additiva, deve essere ben informata sulla contrattura capsulare, come si presenta e come fare per “prenderla in tempo”.
Classificazione, cause e prevenzione
Le
protesi mammarie sono costituite da gel di silicone avvolte, a loro volta, da un involucro di silicone solido, che scatena nell’organismo una reazione da corpo estraneo, ossia la formazione di una capsula che ingloba come una pellicola la
protesi e i tessuti circostanti.
Quest’involucro è una tappa “obbligatoria”, fondamentale e importante nella guarigione di un’additiva, perché isola gli impianti protesici dal resto dell’organismo e li stabilizza nella posizione corretta. Purtroppo la reazione dell’organismo può essere più aggressiva e si formano capsule più rigide e spesse, che “strizzano” gli impianti fino a far assumere al seno le forme più bizzarre.
Esiste una classificazione universale della contrattura caspulare, la classificazione di Baker che suddivide le contratture in 4 gradi.
I grado: assenza di contrattura, la
protesi non è né palpabile né visibile
II grado: il seno protesizzato è leggermente meno soffice di uno “normale”, ma molte donne non si lamentano del problema
III e IV grado, quelli più severi, con
protesi francamente palpabile e visibile, seno duro, dolorante, deforme e assolutamente innaturale.
Attualmente, con le
protesi di ultima generazione, di qualità superiore, con involucro testurizzato e gel altamente coesivo, la percentuale si è abbassata notevolmente, fino a rappresentare oggi circa il 5%. Ma fondamentale è anche eseguire l’intervento nella più rigorosa sterilità e con una massima attenzione all’emostasi.
Infatti, all’origine della contrattura, un ruolo importante è da attribuire ai microematomi e alle infezioni sub cliniche.
Per ridurre al minimo l’insorgenza della contrattura, il chirurgo ha il dovere di curare l’intervento in ogni piccolo dettaglio, dalla selezione di
protesi di ottima scelta, sino all’ambiente della sala operatoria, alla perfetta disinfezione del paziente e perfino al tipo di guanti utlizzato, privo di polveri, e sostituiti prima di toccare le
protesi.
Gli
ematomi evidenti vanno sempre evacuati , ma spesso si formano e permangono nella tasca dove va messa la
protesi, piccole raccolte di sangue , spesso impercettibili, che alterano la formazione della capsula.
Anche il fumo di sigaretta potrebbe contribuire alla contrattura, perché la vasocostrizione da esso provocata causa una riduzione dell’ossigenazione periferica e uno stimolo ad una reazione infiammatoria più intensa.
Altra causa potrebbe essere la trasudazione del gel dalla
protesi, ecco perché è preferibile usare
protesi di ottima qualità.
Trattamento della contrattura capsulare
In caso di contratture lievi, è possibile ammorbidire la capsula stessa con una compressione esterna (capsulectomia chiusa), è una compressione leggera, che solo il chirurgo può effettuare, ben diversa dal massaggio post operatorio che viene consigliato alle pazienti.
In caso invece di contrattura severa (grado III e IV) bisogna intervenire chirurgicamente con una capsulotomia o una capsulectomia , ossia la rimozione della capsula , l’inserimento di una nuova
protesi e un cambio di piano ( es da sottoghiandolare a sottomuscolare, o da sottomuscolare a
dual plane ecc). Nei casi, inoltre, di recidive multiple, conviene sempre impiantare
protesi rivestite in poliuretano.
Conclusioni
Alla luce dei progressi e delle tecnologie delle
protesi di ultima generazione, la percentuale di contrattura capsulare appare nettamente diminuita, ma rimane pur sempre una “spada di damocle” che è presente ogni qual volta un chirurgo esegua questo tipo di intervento.